“SORPRENDENTE ROMANZO D’ESORDIO”, L’ESPRESSO

IL THRILLER, di Maria Simonetti.
Mantra assassino
“Succede quando sono arrabbiato: la terra trema e le cose volano. La collera monta, e subito arrivano le formiche nelle labbra. Faccio fatica a chiudere la bocca perché devo digrignare i denti e ho la sensazione che il corpo si stia accartocciando come una busta sotto vuoto”.

E’ il sedicenne Tony che racconta, nel sorprendente romanzo d’esordio “Tony Tormenta” (Fanucci, pp. 233, euro 12,90) di Rosanna Rubino, quarantenne napoletana, architetto e specialista marketing.
Il ragazzo vive con la madre in una fattoria del Nebraska, in una natura arida e inospitale dove tutti fanno gli spannocchiatori di granturco, ma è diverso dagli altri: gli basta pensare il mantra -vederlo con la mente, volerlo nel cuore- concentrarsi forte e le cose accadono. Gli oggetti si spostano, i sassi volteggiano nell’aria, i vetri si spaccano. Il suo superpotere si chiama psicocinesi, Tony lo conosce e lo controlla (abbastanza), e riesce pure a disinnescarlo mettendosi a contare piastrelle, foglie o chicchi di riso. Deriva da una mutazione genetica, proprio quella che ha reso albina la ragazza Marla, magrissima e occhi blu. Strana, solitaria e isolata come lui. Ma quando a Mammoth Rock prima il Sindaco e poi altri muoiono in maniera strana, e Tony è sempre nei paraggi, in paese cominciano a sospettare di questo ragazzo inquietante.

Rubino ha scritto un noir esistenziale avvincente e toccante, le trasformazioni fisiche di Tony sono addirittura liberatorie. Storia di una coppia di adolescenti soli.

L’Espresso, pag. 145

“TONY TORMENTA: LA SFIDA DI ROSANNA RUBINO”, INTERVISTA DI VELUT LUNA PRESS

Tony Tormenta è il romanzo con cui esordisce sulla scena letteraria italiana Rosanna Rubino. Milanese di origini napoletane, architetto, specialista in marketing e comunicazione, consulente nel settore real estate, la Rubino è madre di Sophie, una bambina di tre anni. La storia che ci racconta la Rubino è molto particolare e il protagonista, che da il titolo al romanzo, è Tony Tormenta (Fanucci, 2013). Tony ha 16 anni, una madre che lo ha tirato su da sola e una grande passione per i libri di medicina. Ha due veri amici: il cane Boa e la sua bicicletta. Nella sua città, Mammoth Rock, si dice che accadano cose strane quando Tony è nei paraggi. Tony nasconde in effetti un segreto: dietro al suo apparente distacco si cela un potere straordinario. Abbiamo chiesto a Rosanna Rubino cosa l’abbia spinta a scrivere un romanzo intenso come il suo, con tematiche forti che sfidano le barriere sociali. A cominciare dal tema del diverso, affrontato nelle pagine del romanzo senza paternalismi, ma con un’analisi netta che talvolta sfocia nell’onirico.

Tony Tormenta è un romanzo “tosto”, a volte crudele, ma si potrebbe definire necessario. Le tematiche del diverso, della solitudine di alcune persone speciali e la forza oltre le apparenze ce lo fanno apprezzare a tutto tondo. Quanto le è costato scriverlo in termini di fatica letteraria ed emotiva?

Quando ho iniziato a scrivere Tony Tormenta non sapevo se sarei stata capace di arrivare alla fine, né se sarei mai riuscita a ottenere un contratto editoriale. Avevo in testa la mia storia e andavo avanti spinta dalla determinazione, senza mollare il colpo, ma senza certezza alcuna. Quindi, sì, tanta  fatica e disciplina ferrea, soprattutto perché io scrivevo in pausa pranzo, la sera e nei fine settimana, e finivo col non riposare mai.  La verità è che scrivere è un atto totalizzante: o scrivi o vivi! Difficile fare entrambe le cose allo stesso momento. E’ faticoso anche in termini di rinunce, perché il pensiero del libro ti possiede, rosicchiando tempo e spazio a tutto il resto. Però, quando arrivi alla fine, rileggi tutto, metti a posto le ultime cose e ti accorgi che il romanzo funziona, ecco, quello è un momento di pura felicità.

Il suo stile particolare fatto di una prosa scorrevole, frasi brevi e incalzanti, fasi oniriche, il filo conduttore che si spezza per poi riprendere qualche capitolo dopo, ricorda i romanzieri sudamericani. A quali autori si è ispirata per il suo romanzo.

Le suggestioni sono tante, soprattutto se si pensa alla cultura americana, intesa sia come cinematografia che narrativa. Ricordo che il romanzo è ambientato negli States, e in particolare negli stati di Nebraska e Alaska. Le tematiche di M. Night Shyamalan, le immagini oniriche di David Lynch o le atmosfere di David Fincher. Il rimando a Stephen King -e alla sua Carrie- è evidente, seppure il mio romanzo vada a parare in tutt’altra direzione. E poi la visione acida di Chuck Palahniuk, o la solennità di certe pagine di Cormac McCarthy.  Succede questo: vedi certi film, sei attratto da certi libri e poi tutte queste suggestioni si combinano dentro di te in una forma molto personale. E’ un processo che risponde a dinamiche del tutto irrazionali, sul quale non hai nessun controllo. Io l’ho capito a posteriori. Dopo aver scritto il mio libro, mi sono resa conto di quali fossero state le letture o i film, che avevano influenzato in misura maggiore il mio lavoro.

La vita nelle piccole comunità a volte può tarpare le ali a ragazzi dotati di “poteri” eccezionali come Tony. I punti di vista cambiano ma l’emarginazione è sempre in agguato. È un libro per ragazzi, secondo lei, il suo Tony Tormenta?

È un libro che parla di ragazzi, ma scritto per essere letto da tutti, almeno nelle mie intenzioni. Userei il termine mainstream. La casa editrice lo ha classificato come thriller o sci fi. Alcuni blog lo hanno definito young adult, altri romanzo “intimista”. In realtà  Tony Tormenta è un po’ di tutte queste cose, ma nessuna in particolare: io ho scritto la storia che volevo raccontare a modo mio, evitando di pensare alla questione del “genere”, ed è venuto fuori un romanzo “bastardo”, che attinge a vari generi lasciandosene contaminare, ma senza restare dentro una cornice predefinita.

Cosa legge Rosanna Rubino?

Narrativa contemporanea, soprattutto di matrice anglosassone. Quando trovo un autore che mi piace comincio a leggere tutto quello che ha scritto in modo ossessivo, secondo l’ordine cronologico di pubblicazione, perché mi interessa vedere come il suo stile e le sue storie evolvano  nel tempo. Ora, per esempio, è il momento di Don Winslow. La stessa cosa mi è successa con James Ellroy,  che ho letto tutto nel giro di un’estate, Raymond Carver o Michel Houllebecq, quest’ultimo divorato in quattro settimane. A un certo punto leggere ogni riga che questi autori hanno scritto diventa un’urgenza, e vado avanti fino a esaurimento dei loro romanzi. Al contrario, ci sono alcuni autori i cui libri preferisco centellinare, leggendone al massimo uno o due all’anno: per esempio, Stephen King, Philip Roth, Cormac McCarthy, Philip Dick o Don De Lillo. Mi piace pensare che di qui a un decennio ci sarà sempre una storia scritta da loro a farmi compagnia, una storia che non ho ancora letto.

Quali consigli darebbe a un giovane come Tony? Cosa invece direbbe a chi vuole intraprendere  la carriera di romanziere.

A uno come Tony non darei alcun consiglio. Gli farei, invece, una preghiera: di lasciarmi assistere a una manifestazione dei suoi poteri! Poter imprimere forza cinetica agli oggetti col pensiero è un sogno, da sempre. A chi desidera fare della scrittura un mestiere raccomanderei tre cose. Primo, leggere di tutto: fumetti, narrativa, saggistica, persino le etichette dei detersivi, perché tutto può stimolare idee e diventare materiale narrativo, se opportunamente rielaborato. Secondo, trovare una bella storia, una storia che sia memorabile e viscerale, perché trama e personaggi vengono prima di tutto. Terzo, iscriversi a un buon corso di scrittura creativa, perché quella di arrivare in libreria spedendo il proprio manoscritto a una casa editrice da perfetto outsider è un’idea romantica, ma decisamente poco realistica. Seguire una buona scuola serve a mettere a punto la macchina narrativa, entrando nel settore seguendo un percorso più morbido, che passa attraverso la lettura in pubblico delle tue pagine, gli incontri con altri scrittori, i concorsi, le presentazioni di libri. Io ho frequentato per due anni la scuola di Raul Montanari, qui a Milano. Se non avessi seguito le sue lezioni oggi non ci sarebbe alcun libro, ma solo un manoscritto ancora in cerca di editore.

Clicca qui per leggere l’intervista sito web di Velut Luna Press.

 

“LISERGICO, OBNUBILANTE, MALINCONICO: UN THRILLER CHE CAMBIA LE REGOLE DEL GIOCO” (THRILLERCAFE)

Chi si aspettava di aprire le pagine di un thriller italiano e di trovarsi catapultati tra Stati Uniti e Alaska?
Basta ambientare un romanzo fuori porta per imbattersi in un narrato dai tratti internazionali? Non proprio, o almeno solo in parte, perché se il paesaggio circostante e le abitudini che implica vivere al suo interno creano la struttura di base, è anche vero che serve una scaltrezza narrativa, una osmosi letteraria di respiro internazionale e tanta fantasia, per riuscirci.

Un’immaginazione difficile da contenere, quella dell’esordiente Rosanna Rubino che per i tipi di Fanucci ha pubblicato ‘Tony Tormenta’, titolo che evoca in un certo senso il sentimento che permea le pagine di questo romanzo a tratti ‘nero’, a tratti esistenziale. Sì, perché Tony, protagonista indiscusso della vicenda che si svolge tra Nebraska e Alaska, è un ragazzo complicato, introspettivo, con cui è difficile relazionarsi. Tony vive una condizione per cui gli è impossibile essere come gli altri e se potesse esserlo forse non lo vorrebbe neanche, perché come desiderare la mediocrità se si comprende di essere diversi, se non ci si può sentire parte di niente?
Tony si troverà suo malgrado coinvolto in una situazione che non sarà più in grado di gestire, forse perché ha sottovalutato il potere che hanno le sue azioni, quel suo provare sensazioni forti che inevitabilmente condizionano lo spazio esterno. Sentimenti scatenati da paura, rabbia, inadeguatezza. Certo contare le piastrelle, i chicchi di riso nel proprio piatto aiuta a convogliare l’esplosione che sente dentro in un circuito numerico in cui l’azione ultima è quella di bloccare le sinapsi, solo questo può salvare delle vite, anche se le stesse meriterebbero una punizione. È come se Tony naufragasse nelle sue paure, perchè sono proprio quelle che riescono a sopraffarlo, a condizionare la sua giovane esistenza, perché non dimentichiamolo Tony ha sedici anni, nessun amico e giornate piene di solitudine.

Per fortuna che c’è Marla, una ragazza androgina,  vulnerabile, il suo unico catalizzatore. La sola che nella sua diversità riesce a trovarsi a metà strada tra la voglia di vivere la propria vita e la necessità allo stesso tempo di allontanarsene. Mammoth Rock sarà teatro di morti incomprensibili e tutte sembrano avere a che fare con la presenza di Tony. L’agente Max, cappello in testa e gamba sghemba, sembra perseguitarlo senza dei veri e propri indizi, forse perché anche lui nella sua diversità riesce a guardare oltre e ad avvertite l’elettricità statica che quel filo scoperto crea in presenza del ragazzo.

In un paesaggio desolato e poco ospitale, si svolgerà la vicenda di queste esistenze vissute ai margini. Un cane solitario, Boa, entrerà a far parte della vita di Tony, un cane che non cerca le carezze del padrone perché quel gesto potrebbe significare per entrambi spezzare quella solitudine che sentono dentro e forse la paura di legarsi a quella vita che in un certo senso si è presa gioco di loro. Numero Uno, Numero Due e Numero Tre, così i coetanei soprannominati da Tony, scateneranno una reazione a catena, dove non potrà esserci via di ritorno. Una madre disperata che rimane come sottofondo della vicenda acquisterà un ruolo fondamentale alla risoluzione della trama. Lisergico, obnubilante, malinconico, un thriller che cambia le regole del gioco.

Arianna e Selena Mannella
http://www.thrillercafe.it/tony-tormenta-rosanna-rubino/

INTERVISTA, DAL BLOG BOOKS REVIEWS

Innanzitutto benvenuta sul mio blog, Rosanna. Vorresti parlarci un po’ di te?
“Sono un architetto. Vivo e lavoro a Milano. Ho una bambina di tre anni e mezzo e un cane lupo che si chiama Boa, proprio come  il cane di Tony. Una curiosità: quando ho iniziato a scrivere il romanzo non sapevo come chiamare il cane, e allora, per semplicità, ho usato  un nome provvisorio, quello del mio, con l’intenzione di trovarne un altro più adatto appena mi fosse venuto in mente. Poi, col passare dei giorni, il personaggio “cane” nel libro ha cominciato ad avere una vita sua, e non me la sono sentita di cambiargli il nome, così è rimasto quello.”

 Ti va di raccontarci come è nato “Tony Tormenta”?
“Dal desiderio di creare un personaggio memorabile. Un personaggio che avesse caratteristiche di straordinarietà rispetto al contesto. E’ chiaramente un omaggio alla Carrie di Stephen King, anche se il mio romanzo va a parare in tutt’altra direzione. Nel mio caso è nato prima il protagonista e poi la storia. La trama ha preso forma in un secondo momento, su misura del personaggio che avevo in mente. E poi c’è la combinazione di altri temi a me cari. Tony Tormenta è una storia sulla “distanza”, ovvero sulla difficoltà a trovare la giusta distanza con l’altro. Una storia sulle conseguenze dell’isolamento e sulle ingannevoli seduzioni della simbiosi. Una storia sullo scontro tra due tensioni contrapposte: la volontà di costruire e la pulsione a distruggere. Infine, una storia d’amore.”

Tony, il protagonista del libro, è un tipo molto strano. Ti sei ispirata a qualcuno in particolare oppure è tutto frutto della tua fantasia?
“Da sempre faccio un sogno, che ricorre negli anni. Quello di poter spostare gli oggetti col pensiero. Nel sogno avverto una sensazione di felicità assoluta. Quando però mi sveglio, e capisco che è stato solo un sogno, ci resto molto male. Questa sensazione negativa poi sfuma nel corso della giornata, e quasi me ne dimentico, ma solo fino al prossimo sogno “psicocinetico”, e a un altro deludente risveglio. Ecco, da quando ho scritto Tony Tormenta non ho mai più sognato di avere poteri di psicocinesi.”

Tornando a te, cosa pensi degli ebook?
“Ne penso tutto il bene possibile. Detto questo, preferisco avere in mano l’oggetto libro, fatto di carta e inchiostro, per poterlo sottolineare, segnare, sporcare, odorare e adorare a dovere.”

Hai sempre avuto passione per la scrittura, oppure è nata dopo, in un momento successivo della vita?
“Ho sempre desiderato scrivere, fin da quando ricordo di avere coscienza. Ho iniziato a scrivere piccole storie sconclusionate già tra i sei e i sette anni. Come spesso accade nella vita, poi, ho finito col fare altro, per ragioni insondabili.  Mi sono laureata in architettura e ho fatto tutt’altro percorso. A un certo punto, però, il desiderio di dare forma e sostanza alle storie che avevo in testa è diventato un’ossessione. Allora mi sono presa una lunga pausa dal lavoro, mi sono iscritta ai corsi di scrittura creativa di Raul Montanari e ho cominciato a scrivere con regolarità, cinque o sei ore al giorno, tutti i giorni. E’ nata così una prima raccolta di racconti, e poi questo romanzo, il cui titolo originale era Ossitocina, pubblicato da Fanucci col titolo Tony Tormenta.”

Tony Tormenta è stato il tuo libro di esordio. Stai già scrivendo il tuo secondo?
“A parte i temi a cui accennavo prima, c’è da dire che questo è anche un libro sul corpo: il corpo dotato di Tony, quello affamato di Marla, il corpo segnato dell’agente Max, o il corpo venduto di Blondie. E nel prossimo libro intendo affrontare ancora il tema della relazione tra corpo e ambiente, e della condizione d’isolamento che in alcuni casi può generare.”

Puoi indicarci dove i lettori possono seguirti? Hai qualche account sui vari social networks?
“Ho un sito web www.rosannarubino.com, dove è possibile trovare informazioni su di me, recensioni e news su eventi in programmazione, e un account  facebook a mio nome.”

ROSANNA RUBINO E L’AFFRESCO LETTERARIO SULL’ADOLESCENZA, INTERVISTA A CURA DI STEFANO LOSI PER IL WEB MAGAZINE KULTURAL.EU

Per alcuni personaggi il destino è scritto nel nome.

Quello di Tony Tormenta però è contrario alla consuetudine: si accosta allo sconquasso come al lirismo delle cose, alla poesia fragile degli attimi. È sufficiente posare lo sguardo sulle prime pagine, e lasciarlo correre insieme alla vicenda. Farsi trascinare è questione di istanti, perché certi romanzi non hanno un preavviso, uno spot apripista, un countdown che li annuncia; no, si presentano da sé. Sembra che siano pronti da sempre e lo scambio di attenzioni sia reciproco.

Tony Tormenta è così: difficile da inquadrare, disturbante come ogni (anti)eroe che oscilla fra la condanna e la redenzione. Non puoi abbandonarlo finché non è lui a deciderlo, e questa è la sua forza, il suo fascino. Meglio il ciclone di una pioggia da nulla, e nel caso di un diciassettenne dai poteri mentali tremendi meglio l’inquietudine della stasi. Meglio la solitudine, finché non si è in due.
E Tony, che passa il tempo a isolarsi da una provincia americana terribile e priva di futuro, nella quale ha per soli compagni un cane e una bicicletta, e gode di una fama sinistra, incontra Marla, una coetanea albina, i cui geni hanno qualcosa di anormale come i suoi.
Non c’è un legame d’amore, almeno non da subito; nessuna smanceria o escamotage di facile presa. C’è qualcosa che nasce e si sviluppa fra i due mentre la vita scorre dentro, d’intorno, li allontana per farli ritrovare anni dopo, nove anni, nei quali accadranno cose che preparano a un sorprendente coup de théâtre.

Il libro ha il ritmo dell’american movie fin dalle prime battute: l’attesa del tornado, i richiami kinghiani a un “potere interiore” devastante, le sequenze fra il protagonista e l’agente Max McAvoy, i contesti in cui emergono i colpi di scena, le rivelazioni, come quando il dottor Mitchell svela a Tony di chi è figlio veramente.
Lo conferma l’autrice stessa, Rosanna Rubino: “Ho pensato e scritto questo romanzo proprio come se fosse un prodotto cinematografico. Ho lavorato per immagini, trascrivendo il film che avevo nella testa. La storia è strutturata come una sequenza di scene che in alcuni passaggi possono anche apparire slegate tra loro, ma il cui senso ultimo si ricostruisce alla fine, quando il cerchio si chiude. I flashback sono frame che interrompono la narrazione e aiutano chi legge a ricostruire il senso generale. I richiami alla cultura americana sono evidenti, sia in termini di cinematografia che di narrativa. E parlo in particolare delle produzioni americane firmate da autori come M. Night Shyamalan, David Lynch o David Fincher, solo per citarne alcunI. L’american movie, inteso in senso ampio, è stato un punto di riferimento costante, insieme alle tematiche dei libri di Stephen King, alle atmosfere di Cormac McCarthy o ai ritmi di James Ellroy.”E quel ragazzo che ammette con candore «normale non lo sarò mai», è sempre al centro dell’attenzione pur non volendo esserci. Forse perché appartiene alla schiera di quelli «che devono stare lontani da chiunque, perché non sparano un colpo a salve»? Del resto, già dall’approccio ai rapporti si deduce che Tony è un predestinato al contrario, capace di «fare casino anche quando non vuole». Una metafora che risale nientemeno all’epica antica, attualizzata.

Quanto profonda è l’indagine umana in un adolescente che alla sua amica del cuore vorrebbe dire «del rumore nella testa in alcuni momenti, del silenzio siderale in altri e del nulla che c’è in mezzo», e quanto quella sociale, in un secolo dove il richiamo delle cose futili sovrasta e disperde ogni emozione?
“Tony Tormenta è un personaggio in perenne disequilibrio, in bilico tra trionfo e dannazione, straordinario nell’ordinario, il cui “dono” non è il superpotere degli eroi dei fumetti che si fanno in quattro contro le forze ostili del mondo, quanto piuttosto una condizione subìta, debilitante, a fatica controllabile, che lo distanzia dalla realtà, costringendolo in una bolla d’isolamento. Ecco perché meglio «stare lontano da chiunque». Ecco perché finisce sempre per «non sparare un colpo che sia a salve». In fondo è un ragazzo che potrebbe avere tanto dalla vita – intelligente, sveglio, di bell’aspetto – eppure non desidera nulla, perché è incapace di entrare in contatto con i fatti della vita. Si limita a osservare, memorizzare, commentare. Le sue descrizioni sono precise e dettagliate. È un cronachista. Riporta semplicemente quello che vede, filtrato attraverso il senso di scollamento che si porta dentro. In lui non c’è tensione sociale, empatia verso il resto dell’umanità, o volontà di fare bene. In lui non c’è sguardo d’insieme, a differenza dell’Agente Max, per esempio, e non perché non abbia capacità di visione, anzi! La verità è che non gliene frega niente.”

Asettico dunque, perché la narrativa è questione di coraggio, è consegnare al mondo concreto ciò che è fantasia e darle forma, carattere, storia. È tradurne la quiete o gli eccessi in un codice universale, nella “segnaletica delle parole” che permette al lettore di intraprendere il viaggio.

Ma in origine come nasce Tony Tormenta?
“Tony Tormenta nasce dall’idea di creare un personaggio memorabile: un protagonista extra-ordinario che si muove in un contesto ordinario. In questo caso il contesto ordinario è la provincia americana, raccontata tramite situazioni e luoghi iconici, tipici dell’adolescenza. Situazioni quali il concorso, gli esami di fine anno scolastico, o la festa del diploma, per citarne alcuni. Oppure luoghi come il luna park, il pub, l’aula o la palestra della scuola. E poi desideravo mettere in scena la storia di un adolescente, proprio per poter parlare di quell’età magica in cui tutte le opzioni in teoria sono ancora possibili perché la vita è solo futuro, eppure i sogni paiono irraggiungibili, perché fatichi a capire quale possa essere il tuo posto nel mondo, e sei spesso in rotta con tutti. Infine, la volontà di affrontare proprio il tema della psicocinesi, un elemento che da bambina ricorreva spesso nei miei sogni notturni. Sognavo di poter spostare gli oggetti col pensiero. Nel sogno avvertivo una sensazione d’incredibile benessere. Quando mi svegliavo, rendendomi conto che era stato solo un sogno, piombavo nello sconforto. La sensazione negativa poi si riassorbiva naturalmente nel corso della giornata, e quasi me ne dimenticavo, ma solo fino al successivo sogno “psicocinetico”, destinato a concludersi con un altro deludente risveglio. La psicocinesi in fondo è solo un espediente per parlare d’isolamento, e del rapporto col proprio corpo. In questo senso è anche un libro sul corpo: il corpo “dotato” di Tony, ma anche il corpo affamato di Marla, il corpo malato dell’Agente Max, quello usato di Blondie, e quello invecchiato del Dottore.”

Il mito della ricerca della serenità fa capolino in molti passaggi. La pitocina sintetica che Tony accetta di assumere di buon grado è la “pastiglia della normalità” con cui spesso si è costretti a scender a patti, edulcorando la vita? In fondo «sono ormoni. Fanno sembrare le cose un po’ meglio di quello che sono».
“Secondo gli studi della neuroscienza l’ossitocina è l’ormone che può accrescere alcune capacità cognitive come l’empatia. Dicono che favorisca la fiducia, riduca l’ansia sociale e possa essere utile nel trattamento delle sociopatie. Viene anche utilizzato nel trattamento della schizofrenia di cui Tony viene ritenuto vittima. L’ossitocina gioca un ruolo importante nella storia perché Tony scopre di riuscire a controllare meglio i propri poteri proprio quando comincia ad assumere il farmaco contenente il principio attivo.”

La storia d’amore accennata, quasi sussurrata fra il protagonista e Marla, è come una forma di salvezza reciproca dal precipizio onirico del silenzio, ma è la ragazza a ripulire con la fiducia e la verità ciò che di solito è sporco di menzogna: «Tu sì che sei l’uno su mille, potresti andare in capo al mondo se solo volessi, anche se fai finta che non sia così (…). Io lo so, che ci saranno una marea di momenti del cavolo e alcuni giorni buoni, qualche verità e un mucchio di balle. Il massimo a cui posso aspirare è serenità a giorni alterni, perché felicità e gloria eterna sono fuori dalla mia portata. E ci sono giorni, come oggi, che ne ho le scatole strapiene di fingere che tutta la vita davanti è un sogno che non si può rifiutare». Sembrerebbe un tono dimesso, quasi rassegnato, invece è una dichiarazione di tenacia.

Scomodando ancora la tradizione USA, Tony ha l’energia della prosa, e Marla la grazia della poesia?
“Marla è una che non si fa illusioni. È tenace nel senso che è una combattente. Combatte contro il proprio corpo, il padre che la mena, l’indifferenza (apparente) di Tony. Marla è sveglia, tanto da capire di non possedere talenti speciali, eppure non abbastanza determinata da riuscire a darsi un progetto di vita, perché troppo impegnata a far fronte alle proprie paure. Anche lei è chiusa nel suo isolamento, ma vorrebbe essere come gli altri, a differenza di Tony che invece sembra essere a proprio agio solo lontano da tutti.”

Nel Capitolo 3 c’è un salto temporale, e ritroviamo Tony non più adolescente ma ventiseienne, lontano dalla sua Mammoth Rock, in un luogo dove «gli isolati hanno la forma di grappoli e gli edifici squadrati si ammonticchiano gli uni sugli altri come chicchi d’uva». Anche Blondie, la maîtresse, ha alle spalle una storia travagliata, in questa vita che della semplicità ha solo le sembianze. Davvero anche lei tiene chiuse le imposte per non vedere quando il cielo fuori è blu, perché «se dio c’è, non era lì quel giorno», o dietro la coincidenza si nasconde una metafora dell’umanità?
“Dio non era lì quel giorno semplicemente perché non era da nessuna parte, e Blondie lo sa. Blondie ha subito un trauma e se lo porta dietro da tutta la vita. I traumi, però, si superano. I brutti ricordi si possono mettere da parte. Ma quando la causa della propria sofferenza è il cielo, come si fa? Non c’è modo di fuggire. E allora a Blondie non resta che murare le finestre.”

Leggo a pagina 198: «Quando sei giovane vedi che tutto intorno a te va in malora, però tu ti senti forte, qualunque cosa accada, quasi come se fossi l’unico a cui le cose andranno tutte per il verso giusto, per qualche motivo impossibile da spiegare. Poi i vecchi cominciano a tirare le cuoia, la gioventù passa, il tempo che hai davanti è sempre meno, e hai questa sensazione di disfatta generale. Ogni cosa marcisce e poi finisce, fino a quando ti accorgi che ora sei tu quello che sta andando in malora, mentre il mondo resta lì, e neanche gliene frega un fico secco che tu sia vivo o morto».

Oltre alla consapevolezza, quanto spazio c’è per la speranza?
“A me non piace la parola speranza. La detesto. Rimanda a un atteggiamento passivo, che in sostanza delega ad altro o ad altri (genitori, Dio, il caso, la fortuna) la realizzazione del proprio progetto di vita. Sperare è una perdita di tempo.  Meglio darsi da fare! Più che di speranza parlerei di determinazione. Ci deve essere spazio per la determinazione, intesa come tensione positiva verso la vita, quell’energia che ti porta a costruire più che a distruggere. La determinazione ti salva l’esistenza.”

In conclusione, condividi il pensiero del tuo eroe, per il quale essere felici è uno strano talento?
“Talento strano quanto raro, che tutti vorrebbero avere, ma che pochi riescono a possedere.”

Stefano Losi
http://www.kultural.eu/component/content/article/553-rosanna-rubino-e-laffresco-letterario-sulladolescenza

ROMANO DE MARCO RECENSISCE TONY TORMENTA, E LO FA PARLANDO ANCHE DI GENERI LETTERARI, SCRITTURA E STILE.

E’ un periodo di forte confusione quello che sta vivendo l’universo della narrativa di genere, dovuto forse all’eccessivo proliferare di proposte che assumono le forme espressive più disparate e colpiscono l’utente finale con un martellamento continuo e costante lasciandolo spesso disorientato e insoddisfatto. Romanzi, film, serie tv, web series, fumetti, in un continuo frenetico rincorrersi e saccheggiarsi a vicenda nelle (poche) idee messe in campo, hanno creato un vortice dal quale è difficile uscire immuni e, soprattutto, nel quale è quasi impossibile continuare a mantenere un giusto distacco critico.

In questa sorta di grande calderone narrativo, un vero e proprio scenario a rischio di implosione, risaltano in maniera particolare quelle rare opere che riescono a stupire per la freschezza con la quale rielaborano tematiche classiche del genere coniugandole con quella originalità necessaria a sorprendere e convincere i lettori. E’ il caso del romanzo  TONY TORMENTA, di Rosanna Rubino, uscito ad aprile per Fanucci. L’editore romano non è nuovo a scommesse su talenti promettenti e, stavolta, centra in pieno l’obiettivo con la giovane napoletana trapiantata a Milano, laureata in architettura ed esperta di comunicazione e marketing.

La Rubino costruisce una trama inquietante, di forte presa, rinunciando agli effetti speciali (nonostante ci si trovi nel territorio del soprannaturale) operando un lavoro che potremmo definire di sottrazione, che gioca più sul sottinteso e sull’appena accennato che sulla rappresentazione esplicita di eventi. La trama narra le vicissitudini di un sedicenne della provincia americana (il Tony del titolo) che deve fare i conti con una sensibilità ed una intelligenza fuori dal comune che lo rendono quasi un alieno all’interno della comunità in cui vive. Senza contare i suoi devastanti poteri telecinetici. Nonostante, da tali premesse, si possa pensare  di trovarsi di fronte a una riedizione in maschile del classico Carrie di Stephen King, il romanzo della Rubino è qualcosa di molto diverso. Estremamente inquietante, si, ma con un ritmo e una visione ampi, tutt’altro che frenetici e per niente scontati.

Ma la sorpresa più riuscita è il cambio di registro impresso dal salto temporale che la storia subisce intorno alla metà del suo svolgimento. La prospettiva cambia, la tensione cresce, le domande aumentano. La iniziale perplessità viene subito diradata dalla mano ferma e dalla genialità dell’autrice che riesce a condurre il lettore in territori sconosciuti affascinandolo e coinvolgendolo in maniera totale. Fino al colpo di scena che (come ogni colpo di scena degno di questo nome) ricuce tutte le questioni lasciate in sospeso e  dona un ulteriore, convincente punto di vista a quanto letto fino a quel momento.

Riguardo alla scrittura, appare subito evidente che la Rubino è una che ci sa fare. La prosa è tagliente, sicura, scorrevole e cupa al punto giusto. Non un vocabolo fuori posto, nessun compiacimento nelle descrizioni o nelle sequenze d’azione. Dialoghi che riescono a catturare con un fascino quasi ipnotico. Insomma, si va dritti al punto con molta sostanza e con un senso della misura che rivelano una personalità autoriale già ben delineata. E’ raro in un lavoro di esordio, ma non a caso si tratta di una allieva di lungo corso di una delle scuole di scrittura creativa più prestigiose d’Italia, quella di Raul Montanari.

Altro aspetto positivo che mi sento di sottolineare è la lunghezza non eccessiva che conferisce alla storia una compattezza quanto mai benefica.

In sostanza stiamo parlando di un romanzo davvero originale, godibile, capace di stupire, di affascinare, di colpire duro allo stomaco e di frantumare i preconcetti da lettore “scafato” che troppo spesso  minano la gioia di leggere. Gioia che in questo caso si manifesta in pieno e ci lascia sperare di avere presto l’occasione di trovarci per le mani  un nuovo romanzo di questa bravissima esordiente.

Romano De Marco, romanziere, giornalista, curatore della rassegna “Estate letteraria”. www.romanodemarco.it