L’imprenditore di origini nigerine Ronnie Rosso sembra possedere solo carte vincenti: è un bel giovane dal fisico atletico, ha fondato Talentik, fortunata piattaforma digitale di audio sharingalle soglie dello sbarco a Piazza Affari, vive in un attico con piscina sullo sfondo di una Milano moderna e brulicante ed è un self made man di successo.
Lontano dall’atteggiamento da parvenu tipico dei neoricchi e quasi indifferente alle concessioni della buona sorte, Ronnie articola le sue giornate tra gli affari e il running, emblema della determinazione con cui ha percorso la strada verso il successo. Sparsi qua e là in tale mondo dorato, tuttavia, si raccolgono vaghi indizi d’inquietudine: un piccolo fastidio di salute, una curiosa fissazione per alcune, apparentemente casuali, parole del vocabolario, l’acqua della piscina che sembra sempre troppo fredda. Tutt’attorno, una serie di figure anonime e di scarso sviluppo: il socio Avvocato, il Dottore, la Voce (che appartiene alla segretaria personale, priva di presenza concreta) e infine Ragazzo, un inesperto giornalista che seguirà Ronnie full time per i cinque giorni che separano Talentik dall’approdo in Borsa.
Dall’apparentemente superficiale rapporto con tale figura emergerà, lento ma prepotente, il passato dell’imprenditore: l’infanzia da orfano in Niger, la precoce consapevolezza del male e della morte, il devastante cammino verso Tripoli e il drammatico viaggio fino a Lampedusa, approdo di profughi e vite in fuga. E, ancora, l’accoglienza presso una casa famiglia e il lungo lavoro di perfezionamento che ha portato l’uomo dalla disperazione alle vette dell’affermazione sociale, sino alla rivelazione di un oscuro ed estremo segreto che, solo in conclusione, verrà alla luce con effetti devastanti.
La stretta sintesi che caratterizza Il sesto giorno ricalca l’indeterminatezza dei suoi attori. Il tormento di Ronnie Rosso, freddo e impalpabile, manifesta allo stesso tempo l’apatia di una vita così estrema da aver raggiunto l’inazione e la scarsa indagine di una sfera emozionale definita esclusivamente da scarsi e imprevedibili comportamenti. Sospeso tra due mondi inconciliabili, il protagonista è in balia del conflitto tra passato e presente, volto al patetico tentativo di sviluppare affetti e contemporaneamente isolarsi da un mondo che, senza apparente spiegazione, percepisce come ostile. A nulla serve la definizione di un contesto spaziale: anche la Milano di Isozaki e Gae Aulenti è fumosa e indefinita, in balia di disordini sociali e inospitale nella dissacrante dicotomia tra crisi economica e simboli di lusso.
Nell’atmosfera noir si percepisce tutta l’inquietudine di quello che potrebbe essere uno scenario parallelo al nostro presente, in cui nuove dinamiche sociali e paradossali contraddizioni tra sviluppo e recessione si muovono in non-luoghi privi di identità.
Nel caos di una città contorta, di un protagonista sviscerato ma non pienamente approfondito, di una trama che tenta infruttuosamente un coinvolgimento, ci si chiede invano se il sesto giorno giunga infine con un rimando a quella Creazione in cui l’uomo, nuovo Adamo, possa assumere una definizione. Purtroppo, però, è spesso troppo labile il limite tra simbolismo e inconsistenza.
Davvero sarebbe stato in gradi di rifare tutto da zero? Restare immobili mentre gli altri morivano intorno a lui facendo finta di non sentire, fissando le stelle per non vedere, aspettando l’alba nella speranza di non affogare. Aveva ancora voglia di sfidare il sole a mezzogiorno tenendo gli occhi spalancati? E la fame, l’avidità, la curiosità, erano le stesse di allora?
Rosanna Rubino raccoglie nella figura di Ronnie Rosso tutti gli aspetti di una drammatica realtà contemporanea: quella dell’immigrazione, della sfida quotidiana di uomini e donne contro il mare e la povertà, così vicina eppure così distante da quella Milano bene di grattacieli e start up, di affaristi e social network, di business e vetri oscurati. Tra le due dimensioni si muove una popolazione smarrita, in protesta contro una crisi di cui sembrano confondersi emblemi e responsabili, contro quei “porcelli” che, tuttavia, la gente continua indirettamente ad alimentare, acquistandone prodotti e servizi, in un’ottica di sharing di ingannevole emancipazione.
Talentik vive dei propri utenti, ma è da essi stessi contestato, in una schizofrenia tipica del nostro tempo. Quando, in un’atmosfera di coprifuoco, i dimostranti salgono sui tetti dimostrano tutta la loro inefficacia, nell’ignoranza che, sopra le loro teste, continuano a girare vorticosamente le pale degli elicotteri privati: ambiguo è il tentativo dell’uomo medio di opporsi alla classe dominante cimentandosi, paradossalmente, proprio nella medesima scalata verso le vette della città.
Il contesto non lascia, tuttavia, un segno sufficientemente incisivo. E nella vicenda personale di Ronnie Rosso, purtroppo, non si riconoscono eventi scatenanti. La consapevolezza dell’inconciliabilità tra un passato di privazione e un presente di vuota abbondanza scaturisce senza un motivo riconoscibile, al di là di un’intima ricerca, quasi in sordina. Il senso ovattato della non-appartenenza a un contesto è a tratti efficacemente disturbante, ma più spesso lascia l’amaro di una potenzialità perduta.
Irena Trevisan
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