“TONY TORMENTA: LA SFIDA DI ROSANNA RUBINO”, INTERVISTA DI VELUT LUNA PRESS

Tony Tormenta è il romanzo con cui esordisce sulla scena letteraria italiana Rosanna Rubino. Milanese di origini napoletane, architetto, specialista in marketing e comunicazione, consulente nel settore real estate, la Rubino è madre di Sophie, una bambina di tre anni. La storia che ci racconta la Rubino è molto particolare e il protagonista, che da il titolo al romanzo, è Tony Tormenta (Fanucci, 2013). Tony ha 16 anni, una madre che lo ha tirato su da sola e una grande passione per i libri di medicina. Ha due veri amici: il cane Boa e la sua bicicletta. Nella sua città, Mammoth Rock, si dice che accadano cose strane quando Tony è nei paraggi. Tony nasconde in effetti un segreto: dietro al suo apparente distacco si cela un potere straordinario. Abbiamo chiesto a Rosanna Rubino cosa l’abbia spinta a scrivere un romanzo intenso come il suo, con tematiche forti che sfidano le barriere sociali. A cominciare dal tema del diverso, affrontato nelle pagine del romanzo senza paternalismi, ma con un’analisi netta che talvolta sfocia nell’onirico.

Tony Tormenta è un romanzo “tosto”, a volte crudele, ma si potrebbe definire necessario. Le tematiche del diverso, della solitudine di alcune persone speciali e la forza oltre le apparenze ce lo fanno apprezzare a tutto tondo. Quanto le è costato scriverlo in termini di fatica letteraria ed emotiva?

Quando ho iniziato a scrivere Tony Tormenta non sapevo se sarei stata capace di arrivare alla fine, né se sarei mai riuscita a ottenere un contratto editoriale. Avevo in testa la mia storia e andavo avanti spinta dalla determinazione, senza mollare il colpo, ma senza certezza alcuna. Quindi, sì, tanta  fatica e disciplina ferrea, soprattutto perché io scrivevo in pausa pranzo, la sera e nei fine settimana, e finivo col non riposare mai.  La verità è che scrivere è un atto totalizzante: o scrivi o vivi! Difficile fare entrambe le cose allo stesso momento. E’ faticoso anche in termini di rinunce, perché il pensiero del libro ti possiede, rosicchiando tempo e spazio a tutto il resto. Però, quando arrivi alla fine, rileggi tutto, metti a posto le ultime cose e ti accorgi che il romanzo funziona, ecco, quello è un momento di pura felicità.

Il suo stile particolare fatto di una prosa scorrevole, frasi brevi e incalzanti, fasi oniriche, il filo conduttore che si spezza per poi riprendere qualche capitolo dopo, ricorda i romanzieri sudamericani. A quali autori si è ispirata per il suo romanzo.

Le suggestioni sono tante, soprattutto se si pensa alla cultura americana, intesa sia come cinematografia che narrativa. Ricordo che il romanzo è ambientato negli States, e in particolare negli stati di Nebraska e Alaska. Le tematiche di M. Night Shyamalan, le immagini oniriche di David Lynch o le atmosfere di David Fincher. Il rimando a Stephen King -e alla sua Carrie- è evidente, seppure il mio romanzo vada a parare in tutt’altra direzione. E poi la visione acida di Chuck Palahniuk, o la solennità di certe pagine di Cormac McCarthy.  Succede questo: vedi certi film, sei attratto da certi libri e poi tutte queste suggestioni si combinano dentro di te in una forma molto personale. E’ un processo che risponde a dinamiche del tutto irrazionali, sul quale non hai nessun controllo. Io l’ho capito a posteriori. Dopo aver scritto il mio libro, mi sono resa conto di quali fossero state le letture o i film, che avevano influenzato in misura maggiore il mio lavoro.

La vita nelle piccole comunità a volte può tarpare le ali a ragazzi dotati di “poteri” eccezionali come Tony. I punti di vista cambiano ma l’emarginazione è sempre in agguato. È un libro per ragazzi, secondo lei, il suo Tony Tormenta?

È un libro che parla di ragazzi, ma scritto per essere letto da tutti, almeno nelle mie intenzioni. Userei il termine mainstream. La casa editrice lo ha classificato come thriller o sci fi. Alcuni blog lo hanno definito young adult, altri romanzo “intimista”. In realtà  Tony Tormenta è un po’ di tutte queste cose, ma nessuna in particolare: io ho scritto la storia che volevo raccontare a modo mio, evitando di pensare alla questione del “genere”, ed è venuto fuori un romanzo “bastardo”, che attinge a vari generi lasciandosene contaminare, ma senza restare dentro una cornice predefinita.

Cosa legge Rosanna Rubino?

Narrativa contemporanea, soprattutto di matrice anglosassone. Quando trovo un autore che mi piace comincio a leggere tutto quello che ha scritto in modo ossessivo, secondo l’ordine cronologico di pubblicazione, perché mi interessa vedere come il suo stile e le sue storie evolvano  nel tempo. Ora, per esempio, è il momento di Don Winslow. La stessa cosa mi è successa con James Ellroy,  che ho letto tutto nel giro di un’estate, Raymond Carver o Michel Houllebecq, quest’ultimo divorato in quattro settimane. A un certo punto leggere ogni riga che questi autori hanno scritto diventa un’urgenza, e vado avanti fino a esaurimento dei loro romanzi. Al contrario, ci sono alcuni autori i cui libri preferisco centellinare, leggendone al massimo uno o due all’anno: per esempio, Stephen King, Philip Roth, Cormac McCarthy, Philip Dick o Don De Lillo. Mi piace pensare che di qui a un decennio ci sarà sempre una storia scritta da loro a farmi compagnia, una storia che non ho ancora letto.

Quali consigli darebbe a un giovane come Tony? Cosa invece direbbe a chi vuole intraprendere  la carriera di romanziere.

A uno come Tony non darei alcun consiglio. Gli farei, invece, una preghiera: di lasciarmi assistere a una manifestazione dei suoi poteri! Poter imprimere forza cinetica agli oggetti col pensiero è un sogno, da sempre. A chi desidera fare della scrittura un mestiere raccomanderei tre cose. Primo, leggere di tutto: fumetti, narrativa, saggistica, persino le etichette dei detersivi, perché tutto può stimolare idee e diventare materiale narrativo, se opportunamente rielaborato. Secondo, trovare una bella storia, una storia che sia memorabile e viscerale, perché trama e personaggi vengono prima di tutto. Terzo, iscriversi a un buon corso di scrittura creativa, perché quella di arrivare in libreria spedendo il proprio manoscritto a una casa editrice da perfetto outsider è un’idea romantica, ma decisamente poco realistica. Seguire una buona scuola serve a mettere a punto la macchina narrativa, entrando nel settore seguendo un percorso più morbido, che passa attraverso la lettura in pubblico delle tue pagine, gli incontri con altri scrittori, i concorsi, le presentazioni di libri. Io ho frequentato per due anni la scuola di Raul Montanari, qui a Milano. Se non avessi seguito le sue lezioni oggi non ci sarebbe alcun libro, ma solo un manoscritto ancora in cerca di editore.

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