Rubino e l’Italia multietnica tra naufragi e crisi economica.
Ronnie Rosso è l’inventore e il gran capo di Talentik, piattaforma digitale di audio sharing che ha sede centrale e Milano e può competere con i giganti della Silicon Valley. Lui è un “mezzo negro”: forse ha avuto un padre bianco, di sicuro è stato un piccolo orfano in uno sperduto villaggio cristiano del Niger che, nei primi anni ‘90, è stato dato alle fiamme dai fondamentalisti islamici. Oggi, mentre in tutta Italia, in un’atmosfera da ultima spiaggia, infuria la “protesta dei porcelli” contro Governo, Bce, Ue e centrali finanziarie internazionali, è ritenuto la più fondata delle residue speranze che il paese ha di salvarsi, e addirittura l’”Economist” ha fatto una copertina in cui si vede una barchetta con la forma dell’Italia che sta affondando, e mentre a prua il primo ministro e il presidente della Bce guardano avanti come se niente fosse, Ronnie è l’unico a cercare di svuotarla con un secchio. Sarà che di traversate su barconi e di tragici naufragi Ronnie se ne intende: a suo tempo, infatti, è arrivato dalla Libia in quel modo; ha avuto la costanza di fare il morto in mare finché il braccio di un soccorritore non l’ha tirato su portandolo poi a Lampedusa. Poi ha avuto successo: ha avuto idee pioneristiche, ha trovato un avvocato per mettere su una società capace di veicolarle, e ha accumulato una gigantesca fortuna.
Il Sesto Giorno della napoletana Rosanna Rubino è il romanzo che racconta la sua storia, concentrandosi sui sei giorni che precedono la quotazione in borsa di Talentik. Sei giorni cruciali in cui Ronnie incontrerà un giornalista free lance spiantato cui darà accesso a tutte le più confidenziali informazioni sul proprio conto, ritroverà (in un club per scambisti) la figlia della sua maestra nel villaggio sub-sahariano d’origine, e soprattutto deciderà di chiudere i conti col suo passato su cui grava una terribile macchia.
Rubino, architetto specializzato in marketing e comunicazione, esordiente nel 2013 col romanzo Tony Tormenta, costruisce un racconto in cui confluiscono alcuni degli elementi più vistosi della nostra contemporaneità: la società multietnica, la finanza, la crisi sociale, in una Milano percorsa da fremiti di rivolta, scossa da esplosioni di bombe, e dove tuttavia non cessano di avere luogo certe ritualità modaiole, vedi ricevimento di Villa Necchi Campiglio organizzato da Fao e ministero degli esteri per promuovere la diffusione di fonti alimentari alternative, durante il quale rappresentanti della migliore intellighenzia, modelle, industriali, banchieri, ecc. sgranocchiano sauté di coleotteri, fette di alligatore, insalate di locuste fritte mentre smanettano sui palmari per aggiornarsi su quello che intanto succede dalle parti di Porta Venezia dove sono in corso disordini.
Si vuol dire che Rubino costruisce il suo romanzo con dovizia di molti e vari elementi, sicuramente con più generosità di quanta normalmente siano capaci gli autori di gialli –categoria cui pure Il Sesto Giorno in qualche modo appartiene. Coi suoi personaggi per lo più senza nome (si chiamano infatti “Avvocato”, oppure “Dottore”, o anche “Ragazzo”), e con una sua speciali ferocia che definirei hogarthiana (pensando allo sguardo satirico di Hogarth sulla Londra del Settecento), Rubino confeziona l’affresco di una società e dei suoi possibili protagonisti in un futuro imminente. E tutt’altro che rassicurante.
Francesco Durante